OMELIA DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II
ALLA VISITA DELLA PARROCCHIA DI
SAN FILIPPO APOSTOLO IN ROMA
Domenica, 17 aprile 1983
1. Cari Fratelli e Sorelle! Parrocchiani di San Filippo Apostolo a Grottarossa!
Desidero attirare la vostra attenzione su tre espressioni contenute nelle letture bibliche dell’odierna liturgia. È la liturgia della terza domenica di Pasqua, e la Chiesa canta con gioia l’Alleluia a Cristo risorto.
La prima di queste espressioni si trova nel Vangelo di San Giovanni: “È il Signore”!
Così dice a Pietro “il discepolo che Gesù amava” (Gv 21, 7), come sappiamo dal Vangelo. E lo dice quando essi, occupati nella pesca sul lago di Genesaret, udirono una voce ben conosciuta, che giungeva dalla sponda. Il personaggio, apparso sulla riva, prima chiede: “Non avete nulla da mangiare?” (Gv 21, 5), e quando essi rispondono “No”, ordina loro di gettare la rete dalla parte destra della barca (cf. Gv 21, 6).
Si verifica lo stesso fatto che aveva già avuto luogo, una volta, quando Gesù di Nazaret si trovava nella barca di Pietro sul lago di Tiberiade. Anche allora ordinò loro di calare le reti per la pesca, e - benché prima non avessero preso nulla - la rete si riempì di pesci, così che non riuscivano a tirarla fuori (cf. Lc 5, 1-11).
Questa volta Giovanni dice: “È il Signore!”. E lo dice dopo la risurrezione; perciò questa parola acquista un significato particolare. Gesù di Nazaret aveva già manifestato il suo dominio sul creato, quando stava con gli apostoli come “Guida” e “Maestro”. Tuttavia, nel corso di questi giorni indimenticabili tra il Venerdì Santo e la mattina del “giorno dopo il sabato”, ha rivelato il suo dominio assoluto sulla morte.
Ecco, viene agli Apostoli sul lago di Genesaret come il Signore della propria morte. Ha vinto la morte subita sulla Croce e vive! Vive con la sua propria vita: con una vita che è la stessa di prima, e, insieme, è di tipo nuovo.
A questo si riferiscono le parole: “È il Signore!”. Queste parole sono state pronunziate dalle labbra degli Apostoli. Le pronunziò la prima generazione dei cristiani, e poi tutte le generazioni successive. Anche noi pronunziamo le parole: il Signore, Cristo Signore. Egli è Colui che, in quanto uomo, ha rivelato un grande aspetto della potenza divina: il potere sulla morte.
2. La seconda espressione, sulla quale desidero attirare la vostra attenzione nell’odierna liturgia, è la parola “obbedire”: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5, 29). Così dicono Pietro e gli Apostoli davanti al Sommo Sacerdote e al Sinedrio, che ingiungevano loro l’ordine di non insegnare più nel nome di Gesù Cristo (cf. At 5, 27-28).
Dalla risposta di Pietro bisogna dedurre che “obbedire” vuol dire qui “sottomettersi a causa, della verità” o semplicemente “sottomettersi alla verità”. Questa verità, la verità salvifica, è contenuta nella missione di Cristo. È contenuta nell’insegnamento di Cristo. Dio stesso l’ha confermata mediante la risurrezione di Cristo.
“Dio lo ha innalzato . . . per dare ad Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui” (At 5, 31-32). Noi rendiamo testimonianza a questa verità, che Dio ci ha consentito di conoscere con i propri occhi. Rendiamo testimonianza a questa verità, e non possiamo fare diversamente. Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.
3. La terza espressione dell’odierna liturgia, alla quale voglio fare riferimento, è la parola “Seguimi” (Gv 21, 19).
Cristo Signore la rivolge in modo definitivo a Simon Pietro dopo la risurrezione. Lo aveva chiamato già prima, e già prima lo aveva fatto Apostolo; ma adesso, dopo la risurrezione, lo chiama ancora una volta. Dapprima rivolge a Pietro tre volte la domanda: “Mi ami?”, e riceve la sua risposta. Per tre volte gli ripete: “Pasci i miei agnelli”, “Pasci le mie pecorelle” (cf. Gv 21, 15-17). Quindi Cristo aggiunge: “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21, 18).
Così Cristo Signore parlò a Simon Pietro. E l’evangelista aggiunge: “Questo gli disse per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio” (Gv 21, 19). E appunto dopo queste parole - e dopo una tale spiegazione - Cristo dice a Pietro: “Seguimi”. E, in un certo senso, fu come se lo chiamasse a Roma, in questo luogo, dove Pietro doveva dare la propria vita per Cristo,
4. Sono le tre espressioni dell’odierna liturgia: “È il Signore”, “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”, “Seguimi”. Occorre che noi meditiamo su di esse nei nostri cuori e nelle nostre coscienze. Ciascuna di esse ci indica che cosa vuol dire essere cristiano.
Il tempo di Pasqua costringe ciascuno di noi a rispondere, con fede rinnovata, proprio a questa domanda: Cristo è risorto, e io sono cristiano.
5. Cari fratelli e sorelle, in questa cornice di fede, voglio dirvi la mia gioia nel celebrare oggi con voi questa liturgia domenicale. A tutti do il mio cordiale saluto, che amo rivolgere in primo luogo ad un illustre ospite qui presente: il Catholicos armeno di Cilicia, Sua Santità Karekine II Sarkissian, venuto a Roma a far visita al successore di Pietro e alla sua diocesi. La sua partecipazione a questa celebrazione liturgica è un eloquente auspicio di unità nella comune confessione di Cristo Signore. Il mio saluto va poi al Cardinal Vicario, al Vescovo di Zona Monsignor Plotti, e si estende in particolar modo al Parroco e ai Vice Parroci, dei Padri Vocazionisti, responsabili di questa Comunità parrocchiale alla Borgata Veientana. Insieme a loro intendo salutare anche le Suore Francescane Missionarie del Sacro Cuore, dell’Istituto “Asisium”, che tanto contribuisce alle attività pastorali della Parrocchia. Una speciale menzione spetta anche ai vari gruppi, come il Consiglio parrocchiale, il Gruppo Maria Immacolata, il Gruppo giovani, il Gruppo di servizio agli anziani, ecc.
So che la Parrocchia di San Filippo, dai suoi inizi nel 1956, è passata da un centinaio di famiglie alle ben cinquemila di oggi. Ebbene, su questa semplice constatazione si innesta la mia paterna esortazione a una parallela crescita nella fede e nell’impegno ecclesiale. Cercate di far maturare sempre più la vostra adesione a Cristo e di farla fruttificare nella vostra vita quotidiana. Sappiate che anche per voi ho un costante ricordo nella preghiera, con particolare riferimento al giovani, ai sofferenti e a quanti sono in difficoltà di vario genere. Il Signore cammini sempre accanto a voi come unico sostegno nel vostro lavoro e sicura garanzia della vostra gioia.
6. Questa visita pastorale cade durante un Anno Santo, che celebra il Giubileo straordinario della Redenzione. Voi sapete che esso è stato indetto per celebrare il 1950° anniversario della morte e risurrezione di Gesù, cioè di quel momento culminante in cui si operò la nostra salvezza. La ricorrenza giubilare, pertanto, ci pone davanti al mistero del grande amore, con cui Dio ci ha amati in Cristo Gesù: non a parole soltanto, ma col dono effettivo del Figlio suo (cf. Gv 3, 16). Contemporaneamente, ci viene ricordato il valore devastante del peccato, cioè della nostra alienazione dal Dio della vita. L’Anno Santo, quindi, è un appello alla conversione e all’umile confessione delle nostre mancanze. È un invito a ripristinare, rinsaldare e vivere in pienezza la nostra comunione con Dio in Gesù Cristo.
Ma, al di sopra di tutto, esso è una felice occasione per un più forte trionfo della misericordia divina, illimitata, gratuita, invincibile, che ci viene generosamente incontro nel sangue di Gesù. Apriamo, dunque, anzi spalanchiamo le porte dei nostri cuori a Cristo Redentore: solo lui è “la nostra vita” (Col 3, 4).
7. Ci incontriamo, cari fratelli e sorelle, nel periodo pasquale dell’Anno della Redenzione. Il Vescovo di Roma - di questa Sede e di questa Chiesa della quale l’Apostolo Pietro rafforzò gli inizi - s’incontra con la vostra Parrocchia dedicata a San Filippo Apostolo. Noi, come eredi della fede ricevuta dagli Apostoli, manifestiamo ancora una volta la nostra gioia pasquale, ripetendo: “Cristo è risorto, lui che ha creato il mondo, e ha salvato gli uomini nella sua misericordia. Alleluia” (Canticum ad Evangelium). Amen.